La schiavitù esiste dai tempi più antichi. Essa costituì una parte importante della vita economica e sociale di molte civiltà antiche come quella egiziana, babilonese, cinese, indiana, greca e romana. Inoltre la schiavitù era praticata in molte tribù africane. Gli arabi cominciarono il commercio di schiavi africani vendendoli in India e Asia. Dopo le scoperte di Colombo i portoghesi, e più tardi le altre nazioni europee come la Gran Bretagna, trasportarono schiavi dall’Africa al Nuovo Mondo per farli lavorare nelle piantagioni.
A causa della scarsità di manodopera in tutta l’America, all’inizio del XVII secolo i proprietari delle piantagioni utilizzavano il sistema dei lavoratori a contratto (lavoratori immigrati vincolati da un contratto a termine a servire i loro padroni nelle colonie). Questi lavoratori però, erano temporanei e costosi. I proprietari schiavizzarono gli indigeni, ma essi scappavano nelle foreste o morivano di malattie portate dall’Europa. Quando si presentò la possibilità di utilizzare gli schiavi africani, essi sembrarono la risposta ideale al problema economico.
Gli schiavi venivano importati dall’Africa occidentale (Nigeria, Camerun, Ghana, Costa d’Avorio e Sierra Leone) ed erano trasportati in America su navi chiamate ‘slavers’ (‘schiaviste’). Se sopravvivevano alla traversata dell’Atlantico, venivano venduti e costretti a lavorare nelle piantagioni di zucchero, tabacco e cotone. Il cotone prodotto in America veniva quindi trasportato in Inghilterra e trasformato in tessuto. I commercianti di schiavi dunque, portavano in Africa la stoffa insieme a perline, collane, alcol e altre merci da scambiare con nuovi schiavi.
Questo sistema di scambio era chiamato ‘commercio triangolare’.