L’impiego del termine comunità era corrente nella filosofia politica da HOBBES a ROUSSEAU in particolare. Comunità significava già un riferimento organico di appartenenza come membro di una collettività di fatto, mentre il termine di società significava una partecipazione contrattuale: la società poteva quindi essere anonima mentre la comunità, conferendo l’identità, si trovava impregnata di affettività (pathos, nel linguaggio di Max WEBER).
La comunità funziona come definizione dell’endo-gruppo che stabilisce la spartizione dell’appartenenza e dell’identificazione tra “noi” e “loro”, e situa quindi gli “altri” fuori della comunità e può perfino servire all’esclusione (ex comunio).
Il sociologo tedesco Ferdinand TÖNNIES ha elaborato una dicotomia concettuale tra la Gemeinschaft (comunità) e Gesellschaft (società). La prima fondata su legami parentali e morali produce un ordinamento sociale relativamente omogeneo, coesivo e tradizionale. La seconda invece designa un ordinamento sociale in cui predominano rapporti contrattuali impersonali, come nella società industriale.
Di fronte all’appartenenza – in un paese in via di modernizzazione – dell’arretramento della comunità alla società F. TÖNNIES ha interpretato l’una e l’altra in uno schema di gerarchizzazione normativa e storica che l’ha condotto a una opposizione radicale tra i due concetti. L’uno significante tradizione e l’altro modernità; la prima appartenenza organica, la seconda, società volontaria.
Questa interpretazione è oggi controversa e addirittura inammissibile. La comunità non solo non è condannata a sparire, ma non é ne contraddittoria alla società, e neppure esclusa da essa.
La comunità in genere si può definire come “il luogo nel quale le identità personali e collettive si formano e si costituiscono, nel quale esse sono riconosciute, confermate, si alimentano e si trasformano” (Francesco VIOLA).
Così definita, la comunità è il luogo, il quadro nel quale avviene il processo di identificazione, che è esso stesso il frutto di un’attività operativa del soggetto ed esige l’apporto degli altri.
Questa definizione si differenzia sia dalla concezione liberale della comunità che decontestualizza radicalmente la scelta della persona sia la concezione comunitarista (vedi comunitarismo) che contestualizza radicalmente la persona: essa riconosce sia il ruolo parzialmente costitutivo della comunità nella formazione delle identità come pure il ruolo dell’atteggiamento critico fondato sulla riflessione e la libertà del soggetto.
Il costitutivo prioritario della comunità in genere, secondo F. VIOLA, “non è uno spirito di benevolenza o la presenza di obiettivi comuni ma il vocabolario comune del discorso e uno sfondo (background) comune di pratiche e di azioni che sono sufficientemente comprensibili”. La comunità si può così paragonare a una conversazione che si può considerare a sua volta come l’azione della comunità.
Come esistono diverse forme di identità, così pure esistono diverse forme di comunità. Ciascuno di noi partecipa a un numero indefinito di luoghi comunitari dove si costruiscono le nostre appartenenze identitarie. Alcuni sono più vasti e inclusivi di altri. Ciascuno ha le sue esigenze particolari, corrispondenti alla nostra identità personale e collettiva.
Possiamo distinguere tre tipi di comunità: la comunità morale che ha una visione uniforme del bene; quella culturale cui si appartiene per nascita, educazione e pratica e infine quella politica cui si appartiene per il linguaggio comune dell’interazione che è il diritto, e che costituisce la comunità in quanto sviluppa la nostra identità politica o la dimensione politica delle nostre diverse identità. Quest’ultima non va confusa né con la prima (la comunità politica non ha una visione uniforme del bene e deve poter accogliere in sé una grande pluralità di concezione del bene) né con la comunità culturale che, per definizione, è particolare. Mentre la comunità culturale ha per fine la conservazione delle proprie forme di vita perché sono a loro volta in funzione dell’identità personale e collettiva, la comunità politica ha per scopo quello di conservare le forme di vita particolari in quanto esse costituiscono il mezzo attraverso cui individui diversi da tanti punti di vista (anche da quello culturale) possono comunicare, intendersi e comprendersi: permettere l’interazione, l’intreccio, al discorso tra le diversità particolari. Nei confronti della comunità morale e della comunità culturale, la comunità politica si caratterizza per il fatto di essere il luogo nel quale l’uomo può trovare una risposta a tutti i suoi bisogni di identificazione personale.
In altre parole la comunità politica non ha come scopo “la comunanza culturale”. La sua unità non viene dall’etnia, dalla lingua parlata, dalla religione, dallo Stato, ma dal linguaggio comune della interazione, che è il linguaggio del diritto, inteso come “l’insieme dei vincoli di ragionevolezza posti al processo di identificazione e di riconoscimento, come la regolamentazione del discorso politico”.
Per questo, si può affermare che la ragione d’essere della comunità politica è il pluralismo e che il suo scopo è la comunicazione tra le diversità. “L’obiettivo specifico della comunità politica (anche se non è il solo) è di fare comunicare tra loro quelli che non possiedono già una conoscenza di idee, interessi e valori, perché nella loro comparazione vengano negoziati, concedendo alle idee, interessi e valori altrui, pari legittimità dei propri”.
È il concetto ripreso da S. Tommaso D’AQUINO nel suo commento al pensiero politico di Aristotele allorché afferma “comunicatio facit civitatem”: La comunicazione basata sul linguaggio comune della interazione che è il diritto, crea la comunità politica.
TÖNNIES, Ferdinand
VIOLA, Francesco
Antonio Perotti