La differenza, secondo B. ROSSI, è “l’inalienabile diritto di ogni persona ad attuarsi e ad esprimersi in tutta la sua originaria pienezza, affermandosi come umanità differente non solo dagli altri, ma anche da se stessa, al fine di non deteriorarsi nel conformismo o nella ripetizione”. Il diritto alla differenza è dunque parte del diritto alla propria identità (vedi: identità psico-sociologica e identità culturale).
In riferimento al riconoscimento politico della diversità, F. VIOLA distingue tre categorie della diversità:
- quelle che corrispondono alle dimensioni involontarie e particolari dell’identità personale dei cittadini: la diversità per nascita, quelle, cioè, che noi riceviamo per la nascita [le identità legate ai fattori biologici, storici, culturali (identità etnica, fenotipia, lingua…);
- quelle che comportano dimensioni involontarie e comuni (comuni almeno in potenza) rappresentate dalle identità fenomenologiche legate ai cicli vitali della vita e ai contenuti sociali (età, statuto sociale, malattia, handicap…). Se da una parte queste identità ci sfuggono (sono quindi involontarie) sono però comuni a categorie di persone e ciascuno sa che un giorno vi potrebbe appartenere (identità del giovane e dell’anziano, dell’ammalato, dell’handicappato, del lavoratore o del pensionato…). È interessante notare, come sottolinea il filosofo N. Bobbio, che sono proprio queste identità fenomenologiche che sono state oggetto della progressiva estensione storica dei diritti dell’uomo (diritto dei fanciulli, degli anziani, degli handicappati, dei lavoratori, dei migranti, dei rifugiati politici). È l’estensione storica di questi diritti che mostra il graduale passaggio sul piano dei diritti fondamentali: dalla considerazione dell’uomo astratto a
- quella dell’uomo contestualizzato nelle sue diverse forme di vita (cicli vitali) e nei suoi diversi stati sociali;
- vi è infine la categoria delle diversità volontarie, quelle che F. Viola chiama le diversità etiche, legate alle scelte volontarie, da cui risulta una grande diversità di concepire il bene umano.
Questa categorizzazione non è da concepire in maniera semplicistica.
Vi possono essere identità fenomenologiche che si intrecciano con identità per nascita (si veda, ad esempio, il diverso atteggiamento delle culture verso l’età, le malattie, il sesso,…) o identità per nascita (quale, ad esempio, l’identità religiosa data per nascita) che si intreccia con quella costruita per scelta (fede) che può entrare in collusione con l’ambiente culturale.
La mappa delle diversità, elaborata da F. Viola, può, tuttavia, esserci utile per comprendere il differente posizionamento del liberalismo e del comunitarismo nei confronti di queste diversità, sia per l’interpretazione che danno di esse sia per l’accento che pongono sull’una o sull’altra.
Mentre il liberalismo esalta la diversità etica (volontaria) e tende a minimizzare le differenze per nascita in rapporto alla problematica dell’identità, il comunitarismo dà un’importanza determinante alle diversità per nascita.
La dimensione stessa dell’esistenza dei diritti collettivi e la resistenza dell’atteggiamento politico-filosofico alla loro accettazione in quadro giuridico fa parte del dibattito sulla priorità o no delle diversità per nascita sulle diversità etiche.
La soluzione da dare a questo dibattito non può che riallacciarsi alla nozione fondamentale dell’identità culturale. Che cioè l’identità di una persona non precede il suo proprio ambiente vitale: è quest’ultimo che alla nascita la marca di un’identità culturale, iscrivendola in un quadro di significati. E che d’altra parte la persona pur essendo contestualizzata non si trova in una gabbia di acciaio e che può cambiare di pelle (la sua identità culturale). In caso contrario si annullerebbe la sua libertà.
Per assicurare la libertà della persona non è necessario concepire – come tende a fare la politica liberale – la persona astrattamente e decontestualizzata: è sufficiente riconoscere il principio-chiave della revidibilità delle sue proprie determinazioni e della revidibilità delle proprie scelte, principio legato sia alla volontarietà delle nostre azioni, sia alla pluralità dei beni che la vita sociale rende possibili.
VIOLA, Francesco.
Antonio Perotti