Quando Muhammad, profeta dell’Islam organizzò la comunità islamica dovette normare il rapporto tra i musulmani e le minoranze religiose che vivevano in Arabia.
Nello stato islamico cristiani, ebrei, sabei (setta gnostico- pagana) e zoroastriani , denominati “genti del Libro” hanno lo statuto di “protetti” (dhimmi): in cambio del pagamento di un tributo fondiario e di una tassa pro capite (jizya) hanno diritto alla protezione dai nemici, alla tolleranza verso il loro culto, alla residenza. Non possono tuttavia essere parte dell’esercito, sposare donne musulmane, a meno che si convertano all’Islam, portare armi, avere schiavi islamici.
I membri delle altre religioni non avevano diritto a vivere nei territori islamici se non si convertivano.
L’Islam ha quindi praticato una vera tolleranza nei confronti di ebrei e cristiani, nel quadro dell’accettazione della superiorità sociale dell’Islam e del suo potere politico.
Le limitazioni riguardavano l’attività missionaria e l’espressione pubblica della fede cristiana.
Nell’ambito familiare l’Islam era preminente perché anche in caso di matrimoni misti i figli sono obbligatoriamente musulmani.
Tutto ciò spiega come nei primi secoli dell’impero islamico la popolazione cristiana fu largamente sostituita da quella islamica.