Il concetto socio-politico di “minoranza” è una nozione più larga e differenziata di quella strettamente giuridica cui si riferiscono gli organismi internazionali preposti alla protezione dei diritti delle minoranze (vedi : Minoranza : concetto giuridico).
L’intreccio della nozione socio-politica di “minoranza” con altre nozioni quali “nazione”, “popolo”, “comunità”, “etnia”, “società”, “stato-nazione”, “nazionalità”, termini che assumono significati diversi secondo le diverse filosofie politiche che ispirano gli Stati non hanno sinora permesso un approccio comune alla questione delle minoranze.
La nozione di “minoranza” è necessariamente una “nozione in situazione”, cioé contestualizzata. Non esiste una “minoranza in sé”. Occorre quindi parlare di “situazione minoritarie” nei riguardi di un determinato territorio (regionale o nazionale) di certe norme, di una certa legislazione e in riferimento a certe strutture di potere e di una configurazione istituzionale risultante da una molteplicità di radici storiche.
Gli studiosi sono generalmente concordi nell’affermare che il fattore che caratterizza il rapporto maggioranza / minoranza non è ultimamente quello numerico, ma quello discriminatorio.
Le minoranze sono gruppi messi in situazione minoritarie a motivo dei rapporti di forza e di diritto, che li sottomettono ad altri gruppi in seno ad una società globale dei cui interessi si fa carico uno Stato che opera la discriminazione, sia per mezzo di status giuridici ineguali (politiche di apartheid), sia grazie ai principi di ineguaglianza civile. Privando di diritti specifici delle collettività la cui situazione sociale ed economica è particolare, l’ineguaglianza civile può creare o perpetuare delle ineguaglianze di fatto.
Uno può essere considerato contemporaneamente “minoritario” secondo un certo criterio (la lingua ufficiale) ma maggioritario secondo un altro criterio, quello, ad esempio, del potere politico. Il rapporto minoranza/maggioranza ha carattere evolutivo. Ne è un esempio il crollo degli imperi europei dopo il 1914 e quello del regime sovietico dopo il 1990. Molte popolazioni prima dominanti sono divenute minoritarie.
I criteri che sono utilizzati per designare “la minoranza” (criteri culturali, giuridici, linguistici, demografici, storici, religiosi, politici) evolvono in funzione di cambiamenti che interessano l’una o l’altra variabile.
La situazione di minoranza in senso socio-politico è strettamente legata al potere di accesso agli strumenti culturali, alle prese di decisione, alle attività sociali e politiche in rapporto ad un altro gruppo che abita il medesimo territorio e che ha accesso a questa attività e questi strumenti.
Nella definizione socio-politica della minoranza due altri elementi svolgono un ruolo determinante : un elemento obiettivo e un elemento psicologico. L’elemento obiettivo designa i tratti distintivi della minoranza : minoranza etnica, religiosa, linguistica e culturale. L’elemento psicologico : la “coscienza minoritaria che fa si che i membri possiedono un “animus “. Questa coscienza assicura la coesione del gruppo e gli conferisce “l’unità morale” : alcuni autori parlano a questo riguardo di “memoria collettiva” e di “volontà collettiva di sopravvivenza del gruppo”. La minoranza non esiste senza questa volontà collettiva, che mira all’uguaglianza di fatto e di diritto con la maggioranza. Per questo motivo si può giustamente affermare che “non si nasce minoranza ma lo si diventa”.
Una minoranza non esiste che di fronte ad una alterità. E’ da qui che nascono conflitti di egemonia e di statuto che possono investire diverse forme e le cui soluzioni variano : annientamento, espulsione massiccia, segregazione, assimilazione forzata, marginalizzazione, riconoscimento tollerante, pluralismo.
Antonio Perotti