Formazione al valore ed alla costruzione della pace, intesa principalmente in due modi: assenza di conflitti interni e tra gli stati, connessa però ad un nuovo ordine internazionale fondato su giustizia, equità, diritti umani; oppure, atteggiamento personale di non violenza e rifiuto dell’aggressività.
Nel primo caso, la peace-research anglosassone ha caratterizzato l’educazione alla pace come disciplina autonoma, centrata sulle conoscenze geopolitiche, la risoluzione dei conflitti, e le tecniche di mediazione. In questo senso l’educazione alla pace si connette alla geopolitica, alla filosofia politica e del diritto, alla storia contemporanea e delle relazioni internazionali. A tale livello, è opportuno distinguere tra pace di potenza (cioè imposta con forza); pace di impotenza (quando le condizioni oggettive impediscono i conflitti); pace di soddisfazione in cui l’intesa progredisce tra i partners fino ad arrivare alla pace d’unione.
Se si affronta invece l’aspetto della pace “interna” – intesa come serenità, capacità di accordo e di dialogo, creatività – varie correnti, tra cui in particolare quella psicosociale, hanno proposto strategie educative per la formazione della persona non violenta, capace di equilibrio, coraggio, anticonformismo, progetto. A questo proposito, le teorie di riferimento possono essere quelle etologiche (la violenza come istinto naturale), o quelle della psicologia umanistica (che interpretano l’aggressività umana come perdita di valori e di senso dell’esistenza).
I due tipi di educazione alla pace, pur avendo fondamenti, strategie e metodologie differenti, possono essere complementari, allo scopo di costruire un percorso che va dall’equilibrio personale interiore fino all’impegno ed alla responsabilità nei conflitti e negli squilibri a livello nazionale e internazionale.
(Galtung, Roveda, Aron, Fromm)
Milena Santerini