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RIFUGIATO (regime dei rifugiati)

Il concetto di rifugiato ha un senso molto specifico in diritto internazionale. Come è stato stabilito nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo statuto dei rifugiati, il termine rifugiato fa riferimento a una persona che “temendo con ragione di essere perseguitato a motivo della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o a causa delle sue opinioni politiche si trova al di fuori del paese di cui ha la nazionalità e che non può o, a motivo di questo timore, non vuole chiedere la protezione di questo paese (Convenzione delle nazioni Unite del 1951, Ginevra 1951, art. 1) Il numero dei rifugiati in questo senso giuridico stretto erano nel 1997 nel mondo oltre 13.2 milioni. Dopo l’adozione di questa convenzione, i giuristi hanno studiato questa definizione un po’ complessa in maniera molto dettagliata, concentrendosi soprattutto sul senso di espressioni quale “temendo con ragione”, “persecuzione”, “appartenenza a un certo gruppo sociale”.

Oggi si usa il concetto di rifugiato in un senso più largo per parlare di persone che hanno dovuto lasciare o hanno dovuto restare al di fuori del loro pese perché la loro vita e la loro libertà erano gravemente minacciate.

Questo uso largo della definizione del rifugiato è stato istituzionalizzato nella convenzione dell’Organizzazione dell’Unità africana del 1969 sui rifugiati che é stata instaurata per far fronte all’empiezza crescente del problema africano dei rifugiati durante la decolonizzazione e il periodo della liberazione nazionale. Secondo questa Convenzione, il termine “rifugiato” “si applica ugualmente a ogni persona che, a causa di una aggressione, di una occupazione esterna, di una dominazione straniera o a causa di avvenimenti che turbano gravemente l’ordine pubblico in una parte o nella totalità del proprio paese d’origine o del Paese di cui essa ha la nazionalitá è obbligata ad abbandonare la sua residenza abituale per cercare rifugio in un altro luogo all’esterno del suo paese di origine o del paese di cui essa ha la nazionalità” (art. 1, Convenzione dell’OUA del 1969 concernente gli aspetti relativi ai problemi dei rifugiati in Africa). Gli strumenti giuridici regionali relativi al rifugiati in altre parti del mondo, in particolare in America Centrale e in America del Sud, hanno adottato un’ottica simile, insistendo meno sul timore di essere perseguitato ma di più sulle condizioni oggettive della violenza e del disordine che possono regnare nel paese di origine. Questa è pure la definizione che l’Alto Commissariato dei Rifugiati privilegia.

L’importanza che i governi accordano al sistema della protezione internazionale dei rifugiati è testimoniata del fatto che non meno di 134 Stati hanno a tutt’oggi (1997) ratificato la Convenzione del 1951 e del suo Protocollo del 1967. Mentre la Convenzione del 1951 era essenzialmente limitata ai rifugiati d’Europa, il Protocollo del 1967 ha esteso la portata della Convenzione ai rifugiati che si trovano in altre parti del mondo.

L’ampiezza del sistema della protezione internazionale si ritrova nella composizione del Comitato esecutivo dell’Alto Commissariato dei Rifugiati, che cusa la supervisione del bilancio dell’organizzazione e formula i principi direttori generali alle sue attività. Il comitato esecutivo, che si compone di 53 Stati, comporta dei rapresentanti di tutte le parti del mondo e di quasi tutte le tradizioni culturali, religiose e politiche.

I rifugiati costituiscono un gruppo specifico in virtú del diritto internazionale retto da un insieme particolare di diritti e di doveri.

Per quanto riguarda i loro diritti, i rifugiati beneficiano del principio di “non allontanamento”, che proibisce agli Stati di rinviarli in qualunque maniera in un paese dove la loro sicurezza sarebbe minacciata. In oltre i Paesi d’asilo hanno l’obbligo in virtú del diritto internazionale, di vegliare a che i rifugiati beneficino di tutto un insieme di diritti politici, sociali e economici, come pure della libertà di circolazione. Infine, come è dichiarato molto chiaramente del Preambolo della Convenzione del 1951, le persone che sono state costrette a lasciare la loro patria e di cercare rifugio altrove sono assicurate di avere “l’esercizio piú largo possibile” di tutti gli altri diritti fondamentali enunciati nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale ali diritti dell’uomo del 1948.

Se beneficiano di questi diritti, i rifugiati devono pure rispettare un certo numero di doveri, tra cui, in particolare, rispettare le leggi e le regolamentazioni dei paesi che hanno loro accordato l’asilo e conformarsi ad ogni misura mirante a mantenere l’ordine pubblico. In virtú della Convenzione del 1951 le persone colpevoli di crimini gravi possono vedersi rifiutato lo statuto di rifugiato.

Il principio del “rimpatrio liberamente consentito” afferma il diritto di tutti i rifugiati di rientrare nel loro paese e dispone che il rimpatrio deve risultare da una libera scelta e fondato sulla conoscenza della situazione. Ogni azione presa allo scopo di costringere i rifugiati a rientrare in un paese dove la loro vita o la loro libertá sarebbero minacciate è interdetta dal diritto internazionale vigente.

Purtroppo i principi fondamentali della Convenzione del 1951 e di altri strumenti internazionali relativi ai rifugiati sono oggi rimessi in questione o addirittura trasgrediti sia da Paesi industrializzati che da Paesi in via di sviluppo. Si assiste cosi ad un deterioramento continuo della qualità della protezione e dell’assistenza che i Paesi sono disposti ad offrire a quelli che fuggono dalla persecuzione e dalla violenza.

Dal concetto di “rifugiato” in senso giuridico va distinto la persona vittima di “trasferimento forzato” [Link to glo 84.doc]

Haut Commissariat des Nations Unies pour les Réfugiés, 1997

Antonio Perotti

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