A differenza della xenofobia, la xenofilia si riferisce “all’amore per lo straniero”. Sicuramente non può che essere considerato positivo se il rapporto autoctono-straniero è caratterizzato da sentimenti “amorosi”. Ma, in alcuni casi, non è così.
La xenofilia rimanda ai casi di iperidentificazione con i bambini stranieri e con i loro problemi. L’atteggiamento di identificazione eccessiva, cosiddetto “wohlwollend” (voler far bene) ovvero “Xenophilo” assunto da educatori ed insegnanti, sicuramente con intenti positivi, presenta dei risvolti negativi o dannosi soprattutto nel caso in cui gli scolari si sentono costretti a reprimere parte dei loro standard culturali precedentemente interiorizzati, per paura di assistere alla fine di tali rapporti privilegiati. Il prezzo pagato dagli alunni stranieri per continuare a ricevere riconoscimento e stima dagli insegnanti e dai compagni, è spesso “il rimanere piccoli ed incapaci”, ovvero la negazione o rimozione di parte di sé (specialmente quelle che si presumono non accettate dall’educatore), con relativi conflitti d’identità e di rapporto con i familiari.
In pedagogia (interculturale) è noto che la sostituzione, la protezione, l’evitare i conflitti non solo non è propositivo allo sviluppo dell’educando, ma può causare ulteriori disagi e disturbi. Per crescere occorre lasciare, separarsi. Affinché l’educando riesca a staccarsi emotivamente è necessario che anche l’educatore riesca ad accettare la separazione ed a viverla non come perdita, ma come naturale opportunità di crescita.
Agostino Portera